C’è un racconto che si ripete da anni, nei forum, nei post dei gruppi Facebook, nei discorsi di chi ha già fatto le valigie: l’Irlanda come “terra delle opportunità”. Un paese giovane, dinamico, anglofono, dove trovare lavoro sembra più facile che in Italia, dove le grandi multinazionali assumono e dove l’inglese non è solo una lingua ma una porta verso il mondo. Ma questa narrazione, tanto potente quanto seducente, regge davvero alla prova dei fatti?
Per capirlo ho incontrato cinque italiani che da anni vivono a Dublino. Donne e uomini tra i trenta e i quarant’anni, con background diversi ma una storia comune: l’arrivo in Irlanda con aspettative alte e la scoperta, poco dopo, di un equilibrio molto più complicato da raggiungere.
Giulia, receptionist in una multinazionale: “Stabile? Non ancora”
Giulia, 35 anni, originaria di Napoli, è arrivata a Dublino nel 2016. «Mi ero appena laureata in lingue. L’Italia mi sembrava un pantano, avevo bisogno di aria. A Dublino ho trovato subito lavoro come receptionist in una multinazionale.»
«Lo stipendio era appena sufficiente a pagare l’affitto di una stanza in un appartamento condiviso con altre quattro persone. Dopo sette anni, la mia situazione è migliorata, ma ho ancora difficoltà a ottenere un mutuo per comprare casa. E non mi sento stabile.»
Andrea, 32 anni, da Bologna, ha una laurea in architettura.
«Pensavo che l’Irlanda potesse offrirmi uno sbocco nel mio campo. Invece ho lavorato tre anni in un call centre .Dopo una laurea in architettura non riuscivo a entrare nel settore edilizio: chiedevano esperienza in Irlanda che, ovviamente, non avevo. È stato un downgrade frustrante, anche se mi ha permesso di perfezionare l’inglese. Chiedevano esperienza pregressa in Irlanda, ma come si fa ad averla se non ti assume nessuno?»
Oggi Andrea lavora come freelance, dopo aver migliorato l’inglese e compreso meglio il mercato del lavoro locale.
Giulia, 35 anni, originaria di Napoli
“Quando sono arrivata a Dublino nel 2016 ho trovato lavoro come receptionist in una multinazionale, ma lo stipendio era appena sufficiente a coprire l’affitto di una stanza in un appartamento condiviso con altre quattro persone. Dopo sette anni, la mia situazione è migliorata, ma ho ancora difficoltà a ottenere un mutuo per comprare casa. E non mi sento stabile”
Daniele, 41 anni, consulente IT
«Lavoro da cinque anni, ma continuo a cambiare casa ogni 12 mesi. A un certo punto abbiamo vissuto in quattro in un bilocale. Con un bambino piccolo è davvero dura»
Ilaria, imprenditrice: “Dai tavoli al catering”. Ilaria è arrivata nel 2012 come cameriera. Dopo corsi di cucina e gestione aziendale ha aperto un’attività di catering specializzato in cucina regionale italiana.
«Non è stato facile, ma qui c’è ancora spazio per chi lavora sodo. A differenza dell’Italia, qui nessuno ti chiede da dove vieni, ma cosa sai fare.»
Luca, papà trilingue: “Educazione e identità in equilibrio”. Luca, 37 anni, lavora nel finance. Ha un figlio trilingue: italiano con lui, inglese con la madre, irlandese a scuola.
«È una sfida educativa, ma anche una ricchezza impagabile.»
Ilaria, 37 anni, imprenditrice è arrivata come cameriera nel 2012.
«Oggi gestisco un catering specializzato in cucina regionale italiana e ho tre dipendenti. Non è stato facile, ma qui c’è ancora spazio per chi lavora sodo. A differenza dell’Italia, qui nessuno ti chiede da dove vieni, ma cosa sai fare.»
Una comunità giovane, mobile e sottovalutata
Secondo i dati AIRE, oltre 25.000 italiani risiedono oggi in Irlanda. Giovani adulti tra i 25 e i 40 anni, spesso single o in coppie miste, con titoli di studio medio-alti ma impiegati in lavori al di sotto delle proprie competenze. Le criticità principali restano: crisi abitativa, sanità sotto pressione, sottoccupazione e isolamento. Eppure, esistono anche reti, festival, associazioni e spazi culturali che aiutano a costruire senso di appartenenza.
Dietro il mito dell’Irlanda come meta ideale si nasconde una realtà fatta di contraddizioni. Le opportunità esistono, ma non sono garantite. Richiedono adattamento, pazienza e resilienza. Chi parte con aspettative troppo alte rischia lo scontro con una realtà difficile. Ma chi riesce a navigare queste difficoltà trova anche apertura, mobilità e un margine di crescita che in Italia spesso manca. L’importante è raccontare la verità: non una favola, ma una sfida. Non un paradiso, ma un campo di prova.