Il governo irlandese ha annunciato in questi giorni un ambizioso piano per attrarre i migliori ricercatori internazionali, con un occhio di riguardo verso quegli accademici statunitensi che, a causa delle recenti restrizioni imposte dall’amministrazione Trump, stanno cercando nuove destinazioni per continuare la propria attività accademica.
Il nuovo programma, presentato dal Ministro per l’Istruzione Superiore James Lawless, prevede che lo Stato co-finanzi – in via temporanea – gli stipendi di studiosi di alto profilo in campi strategici come intelligenza artificiale, energie rinnovabili, medtech, sicurezza alimentare e tecnologie digitali. La misura è stata pensata per rafforzare il sistema universitario irlandese e consolidare la reputazione del Paese come centro d’eccellenza della ricerca e dell’innovazione in Europa.
Per coordinare l’iniziativa, denominata Global Talent Initiative, verrà istituita una rete di “attaché del talento” all’estero, oltre a un team operativo in Irlanda, con l’obiettivo di individuare e attrarre i profili migliori. Un cambiamento importante rispetto alla prassi abituale: le università, infatti, hanno finora gestito in autonomia le assunzioni e i finanziamenti per la ricerca.
Il tempismo non è casuale. Recenti notizie dagli Stati Uniti indicano che l’amministrazione Trump ha sospeso le nuove nomine per visti di studenti internazionali e per programmi di scambio. Un blocco che potrebbe spingere molti giovani ricercatori a guardare all’Europa – e in particolare all’Irlanda – come possibile rifugio.
Ma proprio mentre il governo irlandese si presenta come “terra promessa” per il talento accademico in fuga dagli USA, una voce dal basso getta un’ombra inquietante sul sistema.
“Non venite a fare un PhD in Irlanda”
In una lettera aperta pubblicata su The Irish Times, tre ricercatori attualmente impegnati in programmi di dottorato in Irlanda hanno lanciato un messaggio forte e chiaro: “Non fate un PhD in Irlanda, a meno che non siate pronti ad affrontare una lunga lista di ingiustizie.”
I tre – che scrivono a nome della Postgraduate Workers’ Organisation (PWO), nata per difendere i diritti dei dottorandi – denunciano condizioni di lavoro precarie, stipendi insufficienti e un sistema che sfrutta apertamente i ricercatori non europei.
Secondo quanto riportato, la borsa di studio più alta oggi prevista per un PhD in Irlanda è di 25.000 euro lordi l’anno, una cifra inferiore sia al salario minimo legale (27.378 €) sia al living wage calcolato per il costo della vita in Irlanda (29.913 €). Ma in molti casi, soprattutto negli anni passati, i dottorandi hanno ricevuto importi ben inferiori, anche 16.500 euro. Alcuni ricercatori, addirittura, lavorano senza ricevere alcuna retribuzione, sostenendosi con fondi propri o assumendo incarichi di insegnamento sottopagati (anche per appena 10.000 euro l’anno).
I costi nascosti e le barriere invisibili
Per i ricercatori extra-UE, la situazione è ancora più complessa. A loro è richiesto il pagamento di un contributo annuale di 300 euro per il permesso di soggiorno, oltre all’obbligo di sottoscrivere un’assicurazione privata. Inoltre, affrontano maggiori difficoltà nel partecipare a conferenze internazionali, accedere a fondi per la ricerca e trasferire i propri familiari in Irlanda.
Una delle accuse più gravi mosse dagli autori della lettera è che le università irlandesi stiano adottando un modello “estrattivo” della ricerca, basato sul reclutamento massiccio di studenti internazionali ai quali vengono richieste tasse elevate senza garantire condizioni di lavoro e di vita dignitose.
Il paradosso è evidente: mentre le università lamentano scarsità di fondi, alcuni atenei generano surplus milionari. Si citano ad esempio:
I 5 milioni di euro di profitto derivanti dagli alloggi per studenti alla Dublin City University nel 2022; La controversa spesa di 5,2 milioni per l’acquisto di nuove residenze da parte dell’Università di Limerick; Il bando da 500.000 euro pubblicato da Maynooth University per un servizio taxi prioritario per lo staff; Il massiccio rebranding dell’Università di Galway nel 2023.
Secondo i dottorandi, non è un problema di risorse, ma di scelte politiche. Il sistema universitario irlandese, dicono, sta abbandonando la missione pubblica dell’istruzione superiore per diventare sempre più simile a un’impresa privata. E i PhD researcher, soprattutto quelli internazionali, ne sono le prime vittime.
Quale reputazione per l’Irlanda accademica?
Mentre il governo promuove l’immagine di un Paese aperto al talento e all’innovazione, il rischio concreto è di perdere credibilità proprio con coloro che rendono possibile la ricerca: i giovani studiosi. L’assenza di diritti sindacali, la mancanza di contratti di lavoro veri e propri (a differenza di quanto accade in altri Paesi europei come Germania, Austria e Svezia), le difficoltà economiche e abitative, stanno già spingendo molti a cercare altrove prospettive migliori.
“Perché fare un PhD in Irlanda, quando in altri Paesi europei puoi essere trattato come un lavoratore, con dignità, diritti e una retribuzione adeguata?”, si chiedono i firmatari della lettera.
Finché il sistema continuerà a ignorare queste criticità, concludono, è nostro dovere dire la verità: non venite in Irlanda a fare un dottorato.