È iniziata ufficialmente l’escavazione dell’ex casa per madri e bambini di Tuam, nella contea di Galway. Il sito, un tempo gestito dalle suore della congregazione delle Bon Secours, è tristemente noto per aver custodito, in fosse non ufficiali, i resti di centinaia di bambini deceduti tra il 1925 e il 1961. Un tempo sepolti nell’oblio, ora quei corpi stanno tornando alla luce. Ma con loro, riemerge anche il peso di un Paese che – per troppo tempo – ha preferito dimenticare.
Una storia che l’Irlanda conosceva… ma non voleva vedere
Nel 2014, la storica locale Catherine Corless ha scosso le coscienze dell’opinione pubblica rivelando che 796 bambini erano morti in quella struttura. Molti erano stati sepolti in una fossa settica, senza bara, senza nome, senza diritti. Erano figli illegittimi, frutto di una società fortemente cattolica, patriarcale e ipocrita, che condannava le madri nubili all’esclusione sociale e le affidava a istituzioni religiose trasformatesi, di fatto, in campi di internamento per donne colpevoli solo di essere incinte fuori dal matrimonio.
La Chiesa cattolica, in piena sinergia con lo Stato, amministrava queste case. Lo faceva con l’autorità di chi si credeva moralmente superiore, e con il cinismo di chi, in realtà, gestiva un sistema di controllo sociale e sfruttamento economico delle fasce più deboli. I bambini venivano sottratti alle madri, spesso dati in adozione (anche all’estero) dietro pagamento. Le madri, costrette a lavorare gratuitamente, vivevano nell’umiliazione.
Il costo umano e morale
Parlare di Tuam significa parlare di migliaia di vite spezzate: bambini morti per negligenza, fame, malattie. Madri traumatizzate a vita. Famiglie divise. È un dolore intergenerazionale, che ancora oggi plasma la memoria collettiva dell’Irlanda.
Non si tratta solo di numeri. Si tratta di nomi, volti, assenze. Di cittadini irlandesi che non hanno mai avuto una voce, una sepoltura, una giustizia.
L’inizio della fine del silenzio
Nel giugno 2024, dopo anni di pressioni da parte dei familiari delle vittime e di attivisti, il governo irlandese ha avviato la prima escavazione ufficiale. L’Office of the Tuam Director of Authorised Intervention è stato istituito con l’obiettivo di riesumare, identificare tramite DNA e restituire alle famiglie i resti dei bambini. Il lavoro durerà almeno due anni.
Ma anche in questo momento, la Chiesa cattolica irlandese non ha offerto un risarcimento diretto, né una vera assunzione di responsabilità. L’ordine delle Bon Secours continua a mantenere un basso profilo. Lo Stato, nel frattempo, ha faticato ad approvare una legge che garantisse i fondi e la struttura legale per intervenire. Un processo che ha avuto il sapore della vergogna istituzionale a rilento.
Una ferita nazionale
Il caso Tuam non è isolato. Altre istituzioni simili hanno operato in Irlanda fino agli anni ’90. Secondo la Commissione d’inchiesta sulle case per madri e bambini (Mother and Baby Homes Commission), circa 9.000 bambini sono morti in 18 strutture simili tra il 1922 e il 1998.
Tuam è solo il simbolo più tragico di una teocrazia sociale e culturale che ha segnato l’Irlanda del XX secolo. Un sistema in cui donne e bambini erano pedine sacrificabili sull’altare della moralità e dell’apparenza.
Cosa resta, oggi?
Resta la richiesta di verità. Resta il dolore delle madri sopravvissute, ora anziane, che chiedono che i nomi dei loro figli siano restituiti. Resta la rabbia di un’intera generazione di irlandesi cresciuti nella menzogna. Resta il dovere, per chi fa informazione e memoria, di non lasciare che queste storie sprofondino di nuovo nel silenzio.