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Educazione in Europa: Irlanda in vetta, Italia fanalino di coda

Educazione in Europa: Irlanda in vetta, Italia fanalino di coda
Scritto da Beatrice Maggi

In Europa, il livello di istruzione terziaria rappresenta un indicatore cruciale per valutare la capacità di un paese di preparare le nuove generazioni alle sfide economiche, tecnologiche e sociali. I dati Eurostat 2024 raccontano una storia chiara: mentre l’Irlanda continua a guidare la classifica europea per numero di laureati tra i giovani adulti, l’Italia resta nelle retrovie, bloccata da problemi strutturali mai davvero affrontati.

Secondo l’ultimo report di Eurostat, il 65% degli irlandesi tra i 25 e i 34 anni ha completato un percorso di istruzione terziaria nel 2024, una delle percentuali più alte dell’Unione Europea. Merito di un sistema che negli ultimi due decenni ha puntato sull’accessibilità e sull’efficienza: il programma Free Fees Initiative copre le tasse universitarie per la maggior parte degli studenti, mentre l’offerta formativa è rafforzata da un modello di apprendistato integrato che collega il mondo accademico a quello del lavoro. L’Irlanda ha investito significativamente nell’istruzione, con politiche volte a rendere l’istruzione superiore più accessibile e a promuovere l’apprendimento continuo. Questo approccio ha portato a una popolazione giovane altamente istruita e competitiva a livello internazionale. Questi investimenti si traducono in risultati concreti. La percentuale di occupati tra i giovani laureati irlandesi è tra le più alte d’Europa, e il paese continua ad attrarre studenti e ricercatori da tutto il mondo.

Dall’altra parte dello spettro troviamo l’Italia. Nel 2024, solo il 31% dei giovani italiani tra i 25 e i 34 anni possedeva un titolo di studio terziario — ben al di sotto della media europea del 44%. E il dato peggiora se si considera l’intera fascia tra i 25 e i 74 anni, dove l’Italia si ferma al 18,5%, contro il 23% della Romania, che rappresenta l’unico Stato membro con performance peggiori (Euronews, 27 maggio 2025). Le cause sono molteplici: un tasso di abbandono scolastico ancora alto (10,5% nel 2023, dati ISTAT), una scarsa diffusione di percorsi professionalizzanti brevi, un’università costosa e percepita come lontana dalle esigenze del mercato. Secondo il rapporto Noi Italia 2023, anche la partecipazione alla formazione continua è tra le più basse in Europa. Come rileva l’Istat, in Italia le opportunità occupazionali rimangono più basse di quelle medie europee anche per chi raggiunge un titolo terziario: il tasso di occupazione medio nell’Ue27 (87,6%) è superiore a quello dell’Italia di 3,3 punti percentuali, differenza solo leggermente inferiore a quella osservata per i titoli medio-bassi (4,5 p.p. e 4,6 p.p. rispettivamente).

Il livello di istruzione ha un impatto diretto sull’occupabilità. In Italia, il tasso di occupazione tra i laureati nella fascia 25–64 anni è dell’84,3%, 11 punti percentuali in più rispetto ai diplomati. Tuttavia, tra i giovani laureati (25–34 anni), solo il 75,4% risulta occupato entro tre anni dalla laurea, contro una media UE dell’87,7%. Peggiore ancora è il dato per i giovani tra i 20 e i 34 anni (laureati e non) che trovano lavoro entro tre anni dal titolo: in Italia sono appena il 67,5%, il tasso più basso di tutta l’Unione Europea.

Di seguito, i dati comparativi 2024 sui livelli di istruzione terziaria tra i giovani (25–34 anni), secondo Eurostat:

Higher Education Rates in Europe (25-34) 2024 Higher Education Rates in Europe (25-34) 2024 | Source: Eurostat

Da expat italiana in Irlanda, è difficile non osservare tutto questo con un misto di rassegnazione e amarezza. Qui le università sono ben finanziate, il collegamento tra studi e lavoro è evidente. E non parliamo del livello di riconoscimento sociale di un titolo di studio. Certamente non è tutto oro e la crisi immobiliare si abbatte anche sugli studenti che non possono permettersi affitti alle stelle e studentati che costano come alberghi di lusso.

Dall’Italia, intanto, arrivano sempre le stesse promesse di riforme, mentre continua la fuga di cervelli e si riduce la fiducia dei giovani nelle istituzioni. Noi, nel frattempo, facciamo carriera altrove, pagando le tasse in euro irlandesi e costruendo famiglie in Paesi che hanno deciso, molto semplicemente, di trattare l’istruzione come una priorità — e non come un problema da tagliare. Dispiace dirlo, ma per l’Italia l’università resta un lusso non indispensabile. E quando un Paese considera un lusso ciò che altrove è un diritto, il declino non è un rischio. È una certezza.

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